Top. Takuma Sato – Il pilota giapponese, col successo colto nell’edizione numero 101 della 500 Miglia di Indianapolis, entra con pieno diritto nella storia della IndyCar. Sato ha sicuramente avuto fortuna, e i ritiri di tanti top name gli hanno dato una mano, tuttavia è stato bravissimo perché ha sempre corso nelle posizioni più nobili, e a differenza di tanti suoi colleghi si è tenuto lontano dai guai. Nel momento decisivo della gara, dopo la ripartenza successiva all’ultima caution, ha adottato la tattica giusta, aspettando qualche giro per attaccare, per poi infilare senza pietà Jones, Chilton e Castroneves. Una vittoria che sa tanto di premio alla carriera, e che fa pari con la beffa del 2012, quando perse la gara all’ultimo giro nel tentativo di superare Franchitti.
Helio Castroneves – Non avrà più la forma dei giorni migliori, e ogni tanto difetta in continuità nell’arco della gara, ma nelle grandi occasioni non tradisce mai. Nella Indy 500 il team Penske ha fatto una fatica allucinante, ma la lucida follia di una strategia diversa e il cuore del pilota brasiliano sono riusciti a sopperire alle carenze dell’assetto. L’appuntamento con la quarta vittoria a Indianapolis è ancora una volta rimandato, ma Castroneves ha probabilmente corso una delle sue migliori gare degli ultimi 5 anni. Non devi rimproverarti nulla, Spiderman.
Ed Jones – Terzo posto a un soffio dal vincitore: mica male per un rookie! Il campione in carica della Indy Lights ha brillato sin dalle prove libere, e ha mancato di poco l’accesso al Fast Nine Shootout. In gara ha dapprima lottato nella parte centrale del gruppo, ma il cambio di strategia del team Dale Coyne gli ha permesso di risalire posizioni e di trovarsi pienamente coinvolto nella lotta per la vittoria. Il suo arrivo in IndyCar era stato snobbato da tanti: a Indianapolis Jones ha dimostrato di valere la scommessa di Dale Coyne.
Alexander Rossi – Un pit stop problematico gli è costato tante posizioni e la possibilità di giocarsi la vittoria, ma il pilota dell’Andretti Autosport nella prima parte della gara è stato più volte leader, dimostrando di essere ormai diventato fortissimo anche sugli ovali. L’anno scorso vinse correndo di conserva: quest’anno è arrivato settimo con una corsa tutta d’attacco. Un risultato piuttosto bugiardo e immeritato, ma dopo Indianapolis il pilota statunitense ha una certezza: il futuro, e forse anche il presente, della IndyCar può essere suo.
Gabby Chaves – In gara non si è quasi mai visto, ma il campione Indy Lights 2014 ha tagliato il traguardo in ottava posizione. Un piazzamento piuttosto importante, considerando che correva con un team, l’Harding Racing, al debutto in IndyCar e alla 500 Miglia di Indianapolis. Chaves non è un fenomeno, ma ha fatto vedere di essere un solido professionista.
Fernando Alonso – Debutto fenomenale, rovinato da un motore Honda che non ha retto fino in fondo! Alonso, dopo più di due anni di delusioni con la McLaren in Formula 1, ha provato a correre la 500 Miglia di Indianapolis per sfidare sé stesso e provare al mondo di essere ancora velocissimo. Il pilota spagnolo a Indianapolis ha stupito anche i più scettici,imparando tutto a tempo di record, qualificandosi in quinta posizione e correndo quasi sempre nella top five, comandando la gara per quasi trenta giri. Il ritiro è uno smacco incredibile, ma non scalfisce minimamente quanto fatto vedere da Alonso in pista e nel lavoro con l’Andretti Autosport nelle due settimane dell’evento. Fenomeno.
Hunter-Reay – Uno dei piloti più in forma durante la 500 Miglia di Indianapolis, e assieme ad Alonso e Kimball uno di quelli traditi dalla fragilità del motore Honda. Per più di metà gara Hunter-Reay si è giocato la vittoria e la possibilità di bissare il successo del 2014, e avrebbe meritato un destino certamente migliore. Ma la sua prestazione è una risposta a chi aveva dei dubbi sull’impegno e il talento di Rocket Hunter.
Andretti Autosport – Tre vittorie negli ultimi quattro anni a Indianapolis: c’è altro da aggiungere?
Flop. Simon Pagenaud – Cercasi disperatamente campione IndyCar 2016. A Indianapolis Pagenaud non si è mai visto, e nemmeno i numerosi incidenti lo hanno riportato in alto. In sei partecipazioni alla 500 Miglia di Indianapolis, solo una volta è entrato nella top ten. L’appuntamento col riscatto è rimandato al 2018.
Josef Newgarden – Così come per il compagno di squadra Pagenaud, la 500 Miglia di Indianapolis è stata negativa pure per Newgarden. Nello stint centrale ha occupato anche l’ottava posizione, senza però dare mai l’impressione di potersi giocare qualcosa di importante. Viene lievemente coinvolto nel contatto tra Power ed Hinchcliffe, in quello che è forse stato l’unico momento nel quale è stato inquadrato dalle telecamere.
Conor Daly – Finisce a muro in un tentativo di sorpasso folle all’esterno su Montoya. Una manovra senza senso, simbolo di una stagione che fino a questo momento priva di momenti da ricordare.
Jack Harvey – Chi scrive ha grande stima per questo ragazzo, che però continua a rimanere un oggetto misterioso. Veloce, ma discontinuo nelle serie minori, a Indianapolis è stato l’unico pilota della compagine di Andretti a non mettersi in evidenza. Sicuramente non lo ha aiutato l’abbinamento con la struttura di Michael Shank, con esperienza nulla in IndyCar, ma nelle due settimane di Indianapolis ha commesso qualche errore di troppo e non ha mai brillato.
Ed Carpenter – Qualifiche da leone, con una pole sfiorata. In gara si è sciolto come neve al sole, e dopo venti giri positivi è scivolato nella pancia del gruppo, finendo poi per rompere l’ala dopo aver tamponato Aleshin. L’impegno limitato in IndyCar sta cominciando a diventare un punto debole.
Juncos Racing – Un team esordiente alla 500 Miglia di Indianapolis ha tante attenuanti nel caso in cui manchino i risultati, ma una gara così anonima è anche dovuta alla scelta di ricorrere a un pilota con la valigia, Saavedra, piuttosto che a un esperto e valido Ryan Briscoe. Pigot, che il sedile se l’è meritato, invece è stato travolto da diversi problemi tecnici. Juncos ha perso una grande occasione, ma approcciare l’impegno Indy 500 col solo obiettivo di esserci vuol dire perdere in partenza.
Il telefono di Antonio Boselli – La presenza di Alonso ha finalmente spinto Sky a dare un po’ di lustro alla IndyCar. Dopo un’annata iniziata con le gare trasmesse in differita, l’arrivo di “Dio” Fernando ci ha portato i pre-gara, gli approfondimenti e pure un inviato sul posto, il bravo Antonio Boselli. Il giornalista della tv satellitare è intervenuto più volte in gara, focalizzandosi quasi solo sulla gara di Alonso e sui team radio fra lui e l’ingegnere dell’Andretti Autosport, tranne nel momento dell’incidente di Dixon. I contributi di Boselli sono stati comunque preziosi: peccato che la sua voce si sentisse poco, complice un disturbo nelle comunicazioni. Sembrava che Boselli fosse collegato dal tunnel della Manica più che da Indianapolis.
L’incidente fra Dixon e Howard – Allucinante, ed è incredibile che Dixon sia uscito illeso da un impatto del genere. Un peccato aver perso dopo un quarto di gara il poleman, ma è niente rispetto al sollievo di vederlo in salute dopo un incidente spettacolare e rischiosissimo. Voleva ripetere le emozioni della 500 Miglia di Indianapolis 2008, e invece ha vissuto la paura provata dal suo migliore amico Franchitti a Houston 2013, nel botto che pose fine alla sua carriera.