Sguardo al Passato | Il mito di Monza
02 Settembre 2014 - 15:40
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La Parabolica

Nel primissimo Gran Premio d’Italia nel 1921 a Montichiari, le Case italiane fecero una prestazione a dir poco disastrosa. Partite con il favore del pronostico, vennero poi pesantemente battute dalle Ballot francesi.

Cominciarono a fioccare le proposte per una nuova soluzione, miranti alla costruzione di un autodromo permanente. Si pensò ad una zona nella brughiera di Gallarate, dove ora sorge l’aeroporto di Malpensa; ad una zona presso la Cagnola, alla periferia di Milano. Infine, nell’inverno 1922, Mercanti propose di far sorgere l’autodromo a Monza, nel parco già annesso alla Villa Reale.

Fu un’idea che piacque subito: spazio sufficiente per la costruzione dei box, sala stampa, tribune, zona piana per la creazione del circuito che, soprattutto, non avrebbe avuto bisogno della viabilità ordinaria. In più si era vicini a Milano, la principale città del Nord che sarebbe potuta essere utilizzata come soggiorno per piloti, tecnici, giornalisti, ecc…

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L’Anello ad Alta Velocità

L’entusiasmo con cui si accolse il progetto, da parte della stampa, degli appassionati, degli sportivi, fu grandissimo. “L’iniziativa dell’Automobile Club di Milano – scriveva Mario Morasso, insigne giornalista dell’automobile – segna una data memorabile e una nuova era nella storia automobilistica nazionale”. Considerato poi che si avvicinava il 25° anniversario dell’Automobile Club Milano, l’idea prese ancora più piede. C’era inoltre una grande considerazione di quello che rappresentava un Gran Premio: “[…] il sommo avvenimento sportivo nazionale: non vi è altra prova in alcun altro genere di sport…che possa neppure lontanamente stare al confronto per importanza, per commozione, per significato, per ampiezza, per richiamo di folla e per estensione di conseguenze… è un formidabile cimento industriale, un’eccezionale prova di valori tecnici, scientifici, costruttivi”.

Dopo aver sbrigato le procedute burocratiche, come la garanzia da rischi finanziari e il contratto per l’uso della zona dove poi sarebbe sorto l’Autodromo, bisognava pensare al circuito perché il tempo stringeva e settembre era già alle porte: si doveva fare in fretta.

Il 19 febbraio vennero presentati al pubblico tre diversi progetti. Tutti e tre prevedevano la costruzione di una pista, rispettivamente di 4 km, 4,5 km e 5 km, che si raccordava ad un circuito stradale, per uno sviluppo complessivo di circa dodici chilometri. La scelta cadde su quella da 4,5 km, superando in questo modo sia la pista di Brooklands, 4 km, sia quella d’Indianapolis, 4,2 km. Grande plauso ottenne l’intenzione, comune a tutti e tre i progetti, di costruire due circuiti diversi raccordati tra loro, in modo da utilizzare quello stradale come pista di collaudo permanente e offrire all’industria automobilistica italiana ogni possibilità di sperimentazione sul campo.

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L’Anello ad Alta Velocità

Il 26 febbraio fu il giorno della posa della “prima pietra” fatta da Vincenzo Lancia e Felice Nazzaro. Mercanti, raggiante, annunciò che l’autodromo avrebbe avuto una forma ellissoidale, con un anello esterno dello sviluppo di 4.500 metri ed un sistema stradale, dello sviluppo di 6.000 metri, costituito dal più piccolo anello interno e dal prolungamento verso nord, per una lunghezza complessiva di dieci chilometri e mezzo, in modo tale da alternare un giro uno e un giro l’altro. Il tratto di rettifilo di fronte alle tribune era comune alle due piste.

Due giorni dopo, 24 ore dopo il nuovo Governo, il ministro della Pubblica Istruzione (!!!!) Lo Piano ordinò di sospendere i lavori, diramando il seguente comunicato: “La Commissione conservatrice dei monumenti e degli oggetti di antichità e di arte della Provincia di Milano ha preso in esame i progetti relativi alla costruzione nel Parco, già Reale, di Monza di un circuito stradale per corse automobilistiche…ed ha espresso il suo voto recisamente contrario a trasformazioni e modificazioni che utilizzando il Parco stesso a scopi diversi da quelli cui fu originariamente destinato ne limiterebbero l’uso da parte del pubblico…Si finirebbe per deturpare e distruggerne le naturali bellezze…in una zona che per avere interesse storico ed artistico rientra tra quelle soggette a tutela e vigilanza. Qualora i lavori fossero già stati iniziati la Prefettura è invitata a ordinarne l’immediata sospensione”. Si dovette ricominciare tutto da capo, tra intimazioni, diffide, polemiche e discussioni. Presentato un nuovo progetto, ottenute le nuove autorizzazioni e firmati vari accordi, a metà maggio la pista era ancora un’oblio nei pensieri di Mercanti. La pista però, se si voleva far correre il Gran Premio, doveva essere pronta non oltre il 15 agosto: un giorno in più avrebbe significato perdere un anno.

Il 15 maggio, finalmente, iniziarono i lavori: per dare alcuni numeri, vennero impiegati fino a 3.000 operai, 200 carri, 30 autocarri e persino una piccola ferrovia Décauville di cinque chilometri con due locomotori e ottanta vagoni per la movimentazione dei materiali (si calcolò che furono spostati complessivamente 120.000 metri cubi di terra). Si lavorava dieci ore al giorno, senza riposi festivi; gli uomini alloggiavano in baracche di legno e nei vicini cascinali, e l’impressione era di un accampamento enorme e perennemente animato: il tutto per la cifra di circa 10 milioni di lire che, rapportato ai giorni nostri sarebbero all’incirca 9 milioni di euro. Fortunatamente i lavori vennero ultimati entro il termine previsto e, durante il sopralluogo del 20 luglio, fu completato il primo giro di pista da Pietro Bordino e Felice Nazzaro su una Fiat 570.

I PRIMI ANNI – Fino al 1933 si corse sull’originario circuito di 10 chilometri A causa delle elevate velocità, si verificano vari incidenti mortali: nel 1928 il pilota Emilio Materassi perse il controllo dell’auto sul rettilineo d’arrivo e piombò in mezzo al pubblico assiepato a bordo pista uccidendo 20 spettatori e ferendone oltre 40. Nell’ultimo anno, il 1933, a causa di una serie di incidenti mortali alla sopraelevata sud, vennero effettuate alcune modifiche al tracciato al fine di diminuire le velocità: si introdussero, su idea di Florio, le chicane.

Nel 1939 fu rifatta gran parte della pista. L’anello di alta velocità fu demolito, e la pista stradale fu modificata spostando più avanti la curva del Vialone (oggi variante Ascari) che adesso non immetteva più le auto sul vialone centrale del parco, ma su un nuovo rettilineo più lungo e parallelo a quello di cui sopra. Posto più a ridosso dei box questo nuovo rettilineo (denominato “rettifilo centrale”) conduceva a due nuove curve a gomito che immettevano sul rettilineo d’arrivo, sostituendo l’originaria curva sud, collocate all’altezza della vecchia “sopraelevata Sud”. La lunghezza del circuito diventò di 6.300 metri. Fino al 1954 venne utilizzato, esclusivamente per test automobilistici e di pneumatici.

IL DOPOGUERRA – Nel 1955 il sempre più frequente uso dell’autodromo per i tentativi di record della velocità e il raggiungimento di un superiore grado di sicurezza, resero necessaria la riprogettazione dell’Anello di Alta Velocità da costruirsi sulle ceneri del tracciato abbattuto nel 1938.

Lo studio portò alla realizzazione di un “catino” capace di contenere una velocità costante delle auto sia nei rettilinei, sia sulle curve sopraelevate in cemento armato a pendenza crescente verso l’esterno. Nello stesso anno, durante una sessione di prove private, perse la vita il pilota Alberto Ascari: la dinamica dell’incidente, al quale non assistette alcun testimone, non è mai stata del tutto chiarita. La curva dove avvenne il fatale schianto, in precedenza chiamata curva del Vialone, fu ribattezzata curva Ascari in ricordo del campione scomparso. L’impianto nella nuova conformazione, circuito classico più Anello di Velocità pari a 10 chilometri al giro, fu inaugurato con il Gran Premio d’Italia del 1955 su una distanza di 500 km. Le sollecitazioni centrifughe e di schiacciamento evidenziarono problemi di sollecitazioni fisiche ai piloti e guasti meccanici riportati dalle vetture, che li indussero a disertare l’anello nelle edizioni 1957, 1958 e 1959.

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L’attuale variante della Roggia

Nel 1961 si svolse l’ultimo Gran Premio d’Italia nella configurazione di 10 km ed anche a seguito dell’incidente mortale in cui perse la vita il pilota della Ferrari Wolfgang von Trips, insieme a dodici spettatori sul rettilineo prima della Parabolica. Un altro incidente tristemente noto è quello in cui nel 1970 morì (durante le qualifiche del sabato) il pilota Jochen Rindt. L’austriaco era in quel momento in testa alla classifica mondiale generale e non fu più raggiunto da nessuno nelle gare successive, diventando così l’unico Campione del Mondo postumo nella storia del campionato di Formula 1. Il 25 aprile 1965, si corse la prima 1000 chilometri di Monza e venne posizionata una chicane prima dell’imbocco della Sopraelevata Sud per rallentare la velocità in entrata delle auto in curva.

Sempre a causa delle alte velocità nel 1976 si costruirono tre varianti permanenti in altrettanti punti del tracciato (sul rettilineo dei box, alla curva della Roggia e alla curva Ascari). Ulteriori modifiche a cordoli, curve, chicane vennero effettuate negli anni successivi fino ad arrivare all’ultimo: l’asfaltatura dell’esterno della Parabolica.