A quasi dodici anni dall’addio alla Formula 1, la Minardi riscuote ancora affetto e nostalgia negli appassionati di motorsport. Il team di Faenza, che ha corso con discreta fortuna per ventuno anni nella categoria regina dell’automobilismo mondiale, pur con poche risorse è riuscito a farsi rispettare e fino a metà anni ’90 a lottare stabilmente per le posizioni di metà schieramento.
Col passare del tempo, e l’aumento dei costi, la Minardi è progressivamente diventata il fanalino di coda del gruppo, mantenendo pur sempre grande dignità e lanciando piloti come Fisichella, Trulli, Gené, Alonso, Webber, Wilson e Bruni. E anche Aldo Costa, progettista delle Mercedes che hanno dominato gli ultimi tre mondiali, è cresciuto professionalmente a Faenza.
Attualmente in F1 i team più piccoli, piuttosto che lanciare un giovane talentuoso, preferiscono ricorrere a piloti supportati da munifici sponsor, utili più all’equilibrio economico della squadra che al raggiungimento di un risultato sportivo. E per questa ragione spesso resta fuori dal Circus qualche pilota meritevole, ma senza valigia.
“Quando c’era la Minardi, le cose andavano diversamente – ha detto Guenther Steiner, team principal della Haas – Magari alla Minardi andava anche bene essere ultima, perché aveva il compito di aiutare la formazione dei piloti. Probabilmente la Minardi avrebbe anche preferito non essere in fondo al gruppo, ma era un qualcosa col quale poteva convivere. Il loro modello di business era lanciare nuovi piloti. Ed era un’ottima strategia. Pensiamo a cosa ha fatto la HRT con Ricciardo. Chiaramente non poteva lottare in alto, ma almeno ha potuto acquisire esperienza. Adesso non c’è neanche più questa possibilità. Ora i giovani piloti devono trovarsi nel posto giusto al momento giusto. Non si può fare niente per loro in questo momento: non si può comprargli un sedile. E’ una buona cosa non avere più team nettamente inferiori agli altri. Ma forse alla fine non è poi una cosa così positiva”.