Sembra un paradosso, ma paradosso non è. Il trionfo di Sebastian Vettel nel GP del Brasile, il quinto in stagione per il pilota tedesco e per la Ferrari, non vale niente in prospettiva iridata. Lewis Hamilton ha già vinto il titolo piloti in Messico, e l’affermazione di Vettel a Interlagos non può cambiare l’amara (per i ferraristi) verità del mondiale 2017. Ma il gradino più alto del podio conquistato ieri è una boccata d’ossigeno per il pilota tedesco e la Ferrari, oltre alla conferma che c’è tanto da salvare di questo 2017 da vorrei ma non posso.
La ripresa dell’attività dopo la pausa estiva, con Vettel leader del mondiale e la Ferrari dominatrice nel GP d’Ungheria, ha via via fatto perdere ogni certezza alla scuderia di Maranello. La pessima prestazione del GP d’Italia ha portato al cambio di leadership nella classifica piloti, con Hamilton a + 3 su Vettel, e le tre gare in terra asiatica, con i numerosi problemi d’affidabilità alla power unit, hanno sbriciolato le speranze iridate del quattro volte campione del mondo e del Cavallino Rampante. La delusione più cocente, e la sconfitta più pesante, è però arrivata ad Austin. Vettel, abile a prendere il comando della corsa alla partenza, è stato prima sverniciato da Hamilton e ha poi faticato a chiudere in seconda posizione, con la Ferrari che ha palesato un ritmo inferiore non solo alla Mercedes, ma anche a quello della Red Bull dello sfavillante Verstappen.
La vittoria del GP del Brasile, sebbene “inutile”, è preziosa e pesante come Adinolfi, perché scaccia via due mesi di polemiche e dubbi in casa Ferrari. Vettel c’è, e quando la macchina lo assiste è un pilota che centra sempre il risultato. Nelle ultime gare non aveva gestito al meglio alcune situazioni, e qualcuno ha messo in dubbio le qualità di Vettel nel confronto con un fuoriclasse come Hamilton. A Interlagos l’ex pilota della Red Bull è stato praticamente perfetto, zittendo con un weekend da manuale i suoi detrattori più incalliti. In qualifica ha mancato la pole di soli 38 millesimi, e in gara ha sfruttato al meglio la partenza per sopravanzare Bottas e condurre la corsa.
Una prestazione maiuscola, che dimostra che forse in passato Vettel ha commesso qualche errore e compiuto qualche manovra difensiva un po’ avventata anche per colmare le insicurezze derivanti da una monoposto veloce ma inaffidabile e da un mondiale ormai perso. Il pilota, che era stato al centro di qualche attacco eccessivo, c’è e c’è sempre stato.
Dopo quanto visto il venerdì, tanti addetti ai lavori e gli stessi uomini del Cavallino temevano che non ci fosse nulla da fare contro la Mercedes, e invece la gara non è stata un replay di quanto visto ad Austin. Vettel ha avuto un ritmo competitivo, e ha subito la pressione di Bottas solo nelle due curve successive al ritorno in pista dopo il pit stop. E la seconda notizia importante del GP del Brasile è che la SF70H si avvia a chiudere il mondiale con un livello prestazionale elevato. Quante volte in passato la Ferrari ha iniziato bene la stagione e si è poi persa per strada a causa di uno sviluppo deficitario?! Quest’anno la scuderia di Maranello chiude con una pole alla terzultima gara e con una vittoria e un terzo posto in Brasile. Segno che la macchina è buona, e la SF70H è un’ottima base da cui ripartire. La velocità messa in pista dalla Ferrari in Brasile fa ben sperare in chiave 2018, e i miglioramenti fatti in qualifica nelle ultime gare sono tangibili: ormai il giro secco, punto dolente negli ultimi anni per la cronica difficoltà nel mettere in temperatura le gomme, non è più un problema, bensì un punto di forza.
La vittoria di Vettel nel GP del Brasile è una vittoria di Pirro. Ma mai vittoria di Pirro fu così salutare.