Is it May yet? Non è ancora maggio? Questa massima, che da generazioni circola nei paddock della IndyCar, rivela meglio di qualunque altra frase quel sentimento di spasmodica attesa e fibrillazione che permea la 500 Miglia di Indianapolis, la gara più importante della serie americana e una delle più prestigiose nell’intero panorama del motorsport.
La corsa, arrivata quest’anno alla centoduesima edizione, si disputa sull’ovale più rinomato al mondo, l’Indianapolis Motor Speedway. Costruito nel 1909, l’ovale di Indianapolis ha organizzato la prima Indy 500 nel 1911 per cercare di dare lustro all’impianto, garantendo al vincitore un premio di 25.000 dollari. Mai decisione fu più azzeccata! Quell’evento è diventato una delle pietre miliari del motorsport, e da allora la gara ha sempre avuto luogo, fatte salve due pause nel 1917-1918 e fra il 1942 e il 1945 a causa dell’impegno delle forze armate statunitensi nelle Guerre Mondiali. Tra il 1950 e il 1960 la 500 Miglia di Indianapolis ha assunto un’importanza tale da essere insignita come gara valevole per il campionato di Formula 1, nell’ottica anche di un reciproco accordo di promozione fra Formula 1 e AAA Championship Car.
IL CIRCUITO – La pista di Indianapolis è un superspeedway, ovvero un ovale superiore alle 2 miglia di lunghezza. L’Indianapolis Motor Speedway si sviluppa lungo 2.5 miglia (4 km e 23 metri, ndr) ed è composto da due rettilinei di 0.625 miglia ciascuno (1 km, ndr), due tratti di rettifilo brevi di 0,125 miglia (0,201 km, ndr) e quattro curve a sinistra a 90 gradi da 0.250 miglia (0.402 km, ndr), con un livello di banking di 9 gradi. Su richiesta dei piloti, nella passata stagione è stato rifatto completamente l’asfalto di Indianapolis, cosa che ha permesso un incremento della sicurezza grazie alla copertura di alcune piccole buche sorte a causa della normale usura della pista causata dal passaggio delle monoposto di IndyCar e di tante altre categorie che disputano delle gare sull’ovale con più storia al mondo. I piloti della nuova generazione possono spingere sapendo di trovare un manto stradale in grado di permettergli di esprimersi al massimo delle loro capacità e delle potenzialità delle vetture a disposizione: una situazione ben diversa rispetto alle origini di Indianapolis, quando il terreno era formato da un miscuglio di pietre e catrame. Dopo i primi anni di corse, attorno nel 1925 i gestori dell’impianto decisero di far correre le monoposto su una pavimentazione composta da 3,2 milioni di piccoli mattoni, e dal 1937 si è passati a un asfalto tradizionale. Per tenere alta la bandiera della tradizione, è stata mantenuta una piccolissima porzione di mattoncini in corrispondenza del traguardo, la celebre Brickyard.
ASSETTO E STRATEGIE – AJ Foyt una volta disse che a Indianapolis il segreto per andare forte è molto semplice: “Bisogna girare a sinistra e poi ripetere l’operazione altre 799 volte”. Ovviamente vincere una corsa di 200 giri è molto complicato, e la massima del 7 volte campione USAC va presa come una battuta. Vincere la 500 Miglia di Indianapolis è una vera impresa, che fa entrare di diritto un pilota nella storia dell’automobilismo mondiale! Se un pilota vuole arrivare davanti ai suoi avversari, deve essere sì veloce, ma anche molto reattivo. I piloti devono essere sempre pronti a continui cambi di strategia: in primis perché la corsa è lunga, e in 200 giri c’è il margine per provare qualcosa di diverso. In secondo luogo, con 33 vetture in pista, le caution sono frequenti, perciò è molto facile che tutti i piani vengano scombussolati da un incidente o da una bandiera gialla. Chi pianifica una sola strategia non ha alcuna possibilità di successo!
Per quanto riguarda l’assetto, è molto importante avere una monoposto facile da guidare in condizioni di traffico e che permetta di sfruttare la scia di chi sta davanti. Nella passata stagione lo universal bodywork ha fatto emergere più di una difficoltà sui superspeedway, con i piloti che hanno faticato a compiere sorpassi a causa della forte perdita di carico aerodinamico in curva. Per ovviare al problema, quest’anno la IndyCar ha apportato dei correttivi al kit aerodinamico, con un aumento dell’angolo d’incidenza dell’ala posteriore e la possibilità data alle squadre di installare un profilo aggiuntivo in grado di aumentare la downforce.
Per vincere a Indianapolis è fondamentale la gestione dell’etanolo. E’ inutile spingere al massimo per tutto lo stint, perché si rischia di rientrare anticipatamente e di compromettere la gara, perché a Indianapolis paga molto di più girare con la vettura scarica di carburante rispetto al vantaggio derivante dal montare gomme nuove. Chi è in grado di allungare il suo stint, ha ottime probabilità di issarsi nelle prime posizioni. E’ molto importante la regolazione delle sospensioni, che nelle gare su superspeedway sono asimmetriche. Infine, tutti i team devono trovare il giusto compromesso tra inserimento in curva ed efficienza in rettilineo: a volte privilegiare troppo un assetto che favorisca l’ingresso nelle curve porta ad avere una monoposto che tende sulla sinistra nel dritto, con i piloti costretti a tenere il volante girato sulla destra sui rettifili.
STATISTICHE – I piloti che hanno trionfato in più occasioni alla 500 Miglia di Indianapolis sono tre: AJ Foyt, Rick Mears e Al Unser. Queste tre leggende delle corse a ruote scoperte in terra americana hanno vinto per ben quattro volte la gara per eccellenza. Mears, a differenza degli altri due, può però vantare anche il record nella classifica delle pole position. L’ex pilota del team Penske è infatti riuscito a svettare su tutti in qualifica in sei differenti occasioni. Foyt si è invece fermato “solamente” a quattro pole position. Dal canto suo l’icona texana può vantare ben tre successi con una vettura del team di sua proprietà, ed è l’unico uomo ad aver vinto almeno una volta la 500 Miglia di Indianapolis, la 24 Ore di Le Mans e la Daytona 500. Foyt è anche il pilota che ha corso più edizioni della 500 Miglia di Indianapolis, ben 35.
Passando all’ultimo fra i quattro volte vincitori della Indy 500, Al Unser è il pilota che è riuscito a bere il latte a Indianapolis a più anni di distanza dalla prima affermazione; il pilota americano ha infatti vinto per la prima volta nel 1970, e ha colto il suo quarto e ultimo successo nel 1987, dopo 17 anni. Poco distanti in questa statistica il “solito” Foyt, con 16 di distanza tra la prima e ultima vittoria, e Montoya, che trionfò da rookie nel 2000 e fece il bis nel 2015. Al Unser jr., figlio di Al Unser e nipote di Bobby Unser, è invece il pilota che ha ottenuto più podi: ben 11. Sam Hanks ha invece vinto per la prima volta alla sua tredicesima partecipazione alla 500 Miglia di Indianapolis, ed è l’uomo che ha atteso più a lungo di tutti il successo nella gara più importante dell’anno. Kanaan, che ha scacciato l’incubo Indianapolis nel 2013, ha vinto alla sua dodicesima presenza all’evento. L’anno scorso invece Power è finalmente riuscito a spezzare la maledizione di Indianapolis, aggiudicandosi la gara alla sua undicesima presenza e divenendo il primo australiano a trionfare nella più importante competizione nord americana.
Ora l’alfiere del team Penske avrà un compito arduo di fronte a sé: bissare il successo dell’anno scorso. Negli ultimi 8 anni, nessuno è riuscito a vincere per due volte di fila; anzi, nelle ultime 8 edizioni della 500 Miglia di Indianapolis, ci sono stati 8 vincitori diversi. Se questa statistica non farà dormire sonni tranquilli a Power, un’altra inquieta Dixon: negli ultimi otto anni, nessun vincitore nella gara più importante dell’anno si è poi aggiudicato il campionato. Il pilota che più si è avvicinato alla doppietta è stato Montoya, che ha perso il titolo 2015 proprio a vantaggio di Dixon a causa delle minori vittorie conquistate a parità di punti. Il punto di riferimento del Chip Ganassi Racing è però l’unico pilota in attività ad aver centrato l’impresa nel lontano 2008, oltre a essere l’unico neozelandese ad aver trovato la gloria nella gara più rinomata del motorsport a stelle e strisce. Al momento però l’ultimo pilota capace di vincere la 500 Miglia di Indianapolis e il campionato a fine anno è stato Franchitti nel 2010. Lo scozzese, grande amico ed ex compagno di squadra di Dixon, è anche uno dei pochi ad essere riuscito a fare la doppietta Indy-titolo in due differenti occasioni. Solo AJ Foyt, tre volte campione negli anni d’oro a Indianapolis, ha fatto meglio.
Un ruolo importante nella vittoria di Power lo scorso annoi lo ha giocato senz’altro il team Penske, che è la squadra maggiormente presente nell’albo d’oro. Il team del Capitano Roger Penske vanta ben 17 affermazioni alla 500 Miglia di Indianapolis, e detiene anche il record del maggior numero di podi (33). Andretti Autosport segue nell’albo d’oro con 5 successi, con tre vittorie colte negli ultimi cinque anni (2014, 2016, 2017). Quattro sono gli acuti del Chip Ganassi Racing, che è a secco dal 2012, anno dell’ultima vittoria di Franchitti, capace di rimontare dal fondo e di resistere agli attacchi di Sato, finito in testacoda in un estremo tentativo di sorpasso sullo scozzese.
L’ultimo rookie a cogliere il successo è stato Alexander Rossi nel 2016, in occasione della centesima edizione della 500 Miglia di Indianapolis. Tra i piloti in attività, anche Castroneves vanta una vittoria all’esordio (2001, ndr). Il pilota che ha comandato la corsa per più giri è Al Unser, con ben 644 tornate da leader. AJ Foyt è invece colui che in più edizioni della Indy 500 è stato in testa per almeno un giro. Il texano è stato leader della gara in ben 13 differenti occasioni, così come Kanaan, che ha raggiunto Foyt l’anno scorso. Il campione IRL 2004 ha inoltre comandato la corsa in otto edizioni consecutive, percorrendo diverse tornate da leader anche nella passata stagione, ritoccando così il suo precedente record di sette gare con almeno un giro davanti a tutti.
Nella gloriosa storia della 500 Miglia di Indianapolis, undici donne hanno provato a qualificarsi, e dieci di loro ce l’hanno fatta: Amber Furst nel 1983 fu respinta per mancanza d’esperienza. La primatista per numero di gare corse è Sarah Fisher, con 9 partenze. Danica Patrick si è invece fermata a quota otto, e ha partecipato per l’ultima volta alla gara proprio l’anno scorso, l’ultimo da pilota attiva: quest’anno è a Indianapolis in veste di opinionista. L’ex pilota dell’Andretti Autosport al momento rimane la sola esponente del gentil sesso a essere salita sul podio nella 500 Miglia di Indianapolis (nel 2009 arrivò terza, ndr). Pippa Mann sarà l’unica femmina sulla griglia di partenza domenica: per lei si tratterà della settima volta a Indianapolis, visto che nella passata stagione non riuscì a partecipare alla corsa. La britannica venne eliminata assieme a Hinchcliffe nel Bump Day. Quest’anno Mann si è rifatta con gli interessi, qualificando la monoposto del debuttante Clauson-Marshall.
LA GARA DELL’ANNO SCORSO – L’edizione numero 102 della 500 Miglia di Indianapolis è stata vinta da Will Power, alla sua prima affermazione in carriera nella gara più importante del motorsport americano. Dopo essere partito dalla terza posizione e aver condotto per un’ottantina di giri una gara accorta nella top five, il pilota del team Penske è balzato al comando attorno al novantesimo giro, in concomitanza con la seconda sosta, sopravanzando Kanaan e Carpenter, fino a quel momento padroni della corsa.
Da lì in poi Power è rimasto in testa per 65 giri e ha temuto di perdere la prima posizione solo a causa di qualche caution di troppo, che ha permesso ad alcuni piloti nelle retrovie di sfalsare la strategia per cercare il tutto per tutto. Servia e Wilson si sono trovati nelle prime posizioni dopo l’ultima ripartenza, ma sono dovuti rientrare ai box a pochi giri dalla fine per effettuare uno splash and go, lasciando così la leadership a Power, che alla sua dodicesima partecipazione alla 500 Miglia di Indianapolis è riuscito finalmente a mettersi tutti alle spalle.
Ed Carpenter, poleman nel 2018 per la terza volta in carriera, si è dovuto accontentare della seconda posto dopo aver corso sempre nelle primissime posizioni. Buona terza posizione per Dixon, che in qualifica ha strappato con le unghie e con i denti l’accesso al Fast Nine Shootout, ma in gara ha saputo sfruttare la sua esperienza per colmare il gap sui migliori. Grandissimo quarto posto per Rossi, che ha dovuto rimontare dalla trentaduesima posizione dopo una qualifica gettata al vento per una banale errore nel corso di uno dei suoi giri veloci. Nono Wickens, unico rookie in grado di arrivare nella top ten.
Danica Patrick, tornata in IndyCar per disputare un’ultima volta la 500 Miglia di Indianapolis prima di ritirarsi a fine stagione, si è congedata con un incidente che ha vanificato l’ottima qualifica. Stesso destino per Castroneves, presente come part timer per il team Penske: il brasiliano però ritenterà di vincere la corsa quest’anno. Fuori per incidente anche altri piloti esperti, quali Kanaan, Bourdais e Karam, mentre la prima caution di giornata l’hanno provocata Sato e Davison, che hanno avuto un contatto nel corso del giro 46.
QUALIFICHE DEL 2019 – L’Ed Carpenter Racing sembrava avere la monoposto più veloce sulle brevi sequenze di giri, tanto che ha piazzato tutte e tre le sue vetture fra le prime nove, con Pigot in testa nelle qualifiche del sabato. Pagenaud è però riuscito a mettere assieme quattro tornate perfette nel Fast Nine Shootout, e si è preso la prima pole position in carriera a Indianapolis. Carpenter non ha replicato il risultato dello scorso anno, e dovrà partire in seconda posizione, davanti ai compagni di squadra Pigot e Jones. Alle loro spalle il sorprendente Herta, unico debuttante a lottare per la pole e miglior pilota Honda.
Sesto Power, poi Bourdais, Newgarden e Rossi. Dodicesimo Castroneves, sedicesimo Kanaan, diciottesimo Dixon e ventiduesimo Hunter-Reay. Clamorosamente eliminato nel Last Row Shootout Alonso. La McLaren non ha mai avuto il passo per lottare per i vertici, e dopo il trentunesimo posto nelle qualifiche del sabato, Alonso è finito dietro a Karam, Hinchcliffe e Kaiser nel Bump Day e ha mancato la qualificazione alla 500 Miglia di Indianapolis. Sorte analoga per O’Ward e Chilton.
RECORD – Il 1996 continua a rimanere l’anno dei record a Indianapolis. L’ottantesima edizione della Indy 500 è sempre il punto di riferimento per quanto concerne la velocità pura delle monoposto. Durante le prove della 500 Miglia di Indianapolis del 1996, Arie Luyendyk riuscì a compiere un giro in 37.616 secondi, a una velocità media di 239.260 miglia orarie (385.052 km/h). In qualifica lo stesso Luyendyk si avvicinò molto a quel crono, con un 37.895, e percorse quattro tornate in 2.31.908 secondi, a una media di 236.986 miglia orarie (381.392 km/h). Il giro più veloce di sempre sull’ovale dell’Indiana fu registrato sempre nel 1996, ma non appartiene a Luyendyk: il pilota olandese non è riuscito a realizzare la miglior prestazione in gara, che invece è stata fatta registrare da Eddie Cheever, autore di un notevole 38.119. La 500 Miglia di Indianapolis più veloce di sempre è quella del 2013. Kanaan completò i 200 giri della corsa in un tempo complessivo di 2 ore, 40 minuti, 3 secondi e 418 millesimi, con una velocità media di 187.433 miglia orarie. L’anno scorso Power prese la bandiera a scacchi dopo 2 ore, 59 minuti e 42 secondi, complici 7 caution che congelarono la corsa per 41 passaggi.
TV – L’appuntamento con la 500 Miglia di Indianapolis è fissato per le ore 18,45. La gara verrà trasmessa in diretta e in esclusiva su DAZN, piattaforma a pagamento che detiene i diritti della NTT IndyCar Series fino al 2020 compreso.